20. Il municipio romano.
Se, finalmente, lo sviluppo di uno spirito municipale romano indipendente non è dovuto a Silla, esso è però l'opera della sua epoca.
Nei tempi antichi non si pensava ad innestare organicamente il comune come ente politico nell'ente superiore dello stato; città e stato si confondevano necessariamente in tutto il mondo elleno-italico, nè si trova diversità nel dispotismo orientale. Perciò nè in Grecia nè in Italia s'incontra al principio uno spirito municipale proprio.
Specialmente la politica romana, colla tenace sua logica, si atteneva a questo principio; i comuni dipendenti dell'Italia ancora nel sesto secolo furono costituiti formalmente come stati sovrani non cittadini, allo scopo di conservare loro la costituzione municipale, oppure, se avevano ottenuta la cittadinanza romana, non si vietava loro di organizzarsi a comune, ma si privavano dei diritti municipali propriamente detti, talchè in tutte le colonie cittadine ed in tutti i municipi cittadini persino l'amministrazione della giustizia e le pubbliche costruzioni erano affidate ai pretori ed ai censori romani.
Tutto al più si acconsentiva che le cause più urgenti fossero decise sul luogo da un legato (praefectus) del pretore nominato a Roma.
Non diversamente si procedeva nelle province, senonchè, qui, invece delle autorità della capitale, funzionava il governatore. Nelle città libere, cioè formalmente sovrane, la giurisdizione civile e criminale era affidata agli impiegati municipali e amministrata secondo gli statuti locali: solo che, naturalmente, ogni Romano, sia come accusato o come accusatore, poteva esigere, ove non vi si frapponessero particolari privilegi, che la sua lite si decidesse da giudici italici secondo il diritto italico.
Per i comuni provinciali ordinari, il governatore romano era la competente autorità giudiziaria, cui incombeva l'istruzione di tutti i processi.
E si era già molto ottenuto, se, come in Sicilia, nel caso che l'accusato fosse un siculo, il governatore era tenuto dallo statuto provinciale a nominare un giurato locale ed a far seguire la decisione secondo l'uso del paese; nella massima parte delle province pare che anche questo favore dipendesse dalla volontà dell'impiegato che istruiva il processo.
Questa assoluta centralizzazione del comune romano in Roma fu smessa nel settimo secolo almeno per l'Italia.
Da quando questa era divenuta un solo comune urbano e il suo territorio comprendeva tutto il paese dall'Arno e dal Rubicone sino allo stretto della Sicilia, era pur d'uopo risolversi a stabilire entro questo grande comune dei piccoli comuni urbani. Così fu organizzata l'Italia in comuni di cittadini originari, nella quale occasione i distretti maggiori, che per la loro estensione sembravano pericolosi, furono, quando già non lo fossero, suddivisi in parecchi piccoli distretti urbani. La posizione di questi nuovi comuni di cittadini originari non era nè quella, che fino allora era stata loro assegnata come federati, nè quella che sarebbe loro stata fatta come parti integranti del comune romano secondo l'antico diritto, ma teneva dell'una e dell'altra.
La base in generale ne era la costituzione dei comuni latini allora formalmente sovrani, oppure, in quanto la sua costituzione nella sua essenza era uguale alla romana, quella dell'antico comune patrizio-consolare romano; colla sola differenza, che nel municipio per le stesse istituzioni si dovevano impiegare altri e più modesti nomi che nella capitale, cioè nello stato.
Alla testa del comune si vede un'assemblea di cittadini colla facoltà di emanare statuti comunali e di nominare gli impiegati comunali.
Un consiglio comunale di cento membri funziona alla guisa del senato romano. L'amministrazione della giustizia è affidata a quattro giudici, due regolari che corrispondono ai due consoli, due del foro che corrispondono agli edili curuli.
Gli affari dei censori, i quali, come a Roma, si rinnovavano di cinque in cinque anni, si riducevano, per quello che pare, alla sovrintendenza dei lavori pubblici del comune, e furono assunti dagli impiegati superiori del comune, vale a dire dai due giudici regolari, i quali in questo caso assumevano il titolo distintivo di «giudici con potere censorio e quinquennale».
La cassa comunale era amministrata da due questori.
Alle cose sacre attendevano i due collegi dei pontefici e degli àuguri municipali, come i soli contemplati nella più antica costituzione latina.