5. Opposizione repubblicana.
Anche la posizione del senato, o per dir meglio della nobiltà in genere, si era intanto cambiata: dalla sua completa umiliazione essa aveva acquistato nuovo vigore. In occasione della coalizione del 694 = 60 si erano scoperte delle cose che non erano ancora giunte a quel grado di maturità per essere messe alla luce.
L'esilio di Catone e di Cicerone, per quanto gli autocrati si tenessero in disparte e avessero persino l'aria di compiangerli, dalla pubblica opinione era ad essi attribuito; come pure il parentado fra Cesare e Pompeo ricordava con sgradita evidenza i decreti monarchici di proscrizione e le alleanze di famiglie.
Anche la parte più numerosa del pubblico, che si teneva in disparte dagli avvenimenti politici, si accorse che si andavano sempre più rinforzando le basi per una futura monarchia. Dal momento che questo pubblico comprese come gli sforzi di Cesare non tendevano ad una modificazione della costituzione repubblicana, ma che si trattava addirittura della vita o della morte della repubblica, una quantità dei migliori uomini, che sino allora appartenevano al partito del popolo e riconoscevano in Cesare il loro capo, sarà senza dubbio passata dal lato opposto. Allora non si udivano più soltanto nelle sale di conversazione e nelle ville della dominante nobiltà i discorsi sui «tre dinasti», o sul «mostro dalle tre teste». I discorsi consolari di Cesare erano uditi dall'affollata popolazione senza che desse segno di vita, nè con applausi nè con acclamazioni; quando il console democratico compariva in teatro non una mano si levava all'applauso. Ma ben si fischiava, quando uno dei satelliti degli autocrati si lasciava vedere in pubblico, e persino uomini seri applaudivano quando un comico pronunciava una sentenza antimonarchica o faceva un'allusione contro Pompeo.
Che più? Quando Cicerone dovette andare in esilio, un gran numero di cittadini – si dice ventimila – per la maggior parte della classe media, vestì il bruno ad esempio del senato. In una lettera di quei tempi si legge: «Nulla è ora più popolare che l'odio del partito popolare».
Gli autocrati fecero spargere la voce che tale opposizione potrebbe facilmente far perdere ai cavalieri i posti distinti ultimamente ottenuti in teatro, ed al plebeo il grano pel suo pane; forse allora si limitarono un po' più le espressioni di malcontento, ma lo spirito pubblico rimase quello di prima.
Con migliore successo si ricorse alla molla degli interessi materiali. L'oro di Cesare venne profuso con larghezza. Gli apparentemente ricchi colle finanze scosse, le dame influenti bisognose di denaro, i nobilucci carichi di debiti, i commercianti, i banchieri ridotti a cattivo partito, si recavano in persona nelle Gallie per attingere alla sorgente, o si volgevano agli agenti di Cesare nella capitale; e un uomo d'un esteriore decente – poichè Cesare evitava di mettersi addirittura in relazione colla canaglia – non era facilmente respinto nè qua nè là.
Si aggiungano gli immensi edifizi che Cesare faceva costruire nella capitale per proprio conto e che somministravano mezzi di guadagno a un gran numero di persone d'ogni classe, dal consolare all'ultimo facchino, e così pure le immense somme impiegate pei divertimenti pubblici. Pompeo faceva altrettanto, ma in misura più limitata: la capitale gli andava debitrice del primo teatro costruito in pietra ed egli ne festeggiò l'inaugurazione con una magnificenza mai vista.
Non occorre dire come simili elargizioni riconciliassero sino ad un certo punto moltissimi del partito dell'opposizione, specialmente nella capitale, col nuovo ordine di cose e così pure si capisce facilmente come questo sistema di corruzione non raggiungesse il nerbo dell'opposizione. Sempre più chiaramente si andava manifestando quanto profondamente fossero penetrate nel popolo le radici della vigente costituzione, e quanto poco si inclinasse per la monarchia o si fosse disposti anche solo a tollerarla, specialmente nei circoli, che si trovavano più lontani dagli immediati intrighi dei partiti e in modo particolare nelle città di provincia.
Se Roma avesse avuto una costituzione rappresentativa, il malcontento della borghesia avrebbe trovata la naturale sua espressione nelle elezioni, e, manifestandosi, si sarebbe accresciuto; nelle condizioni esistenti, coloro che erano fedeli alla costituzione non ebbero altro da fare che schierarsi sotto il vessillo del senato, il quale, decaduto com'era, si mostrava però ancor sempre come propugnatore e difensore della legittima repubblica.